il dente d'oro

 

Don Nicola

 

In paese tutti lo chiamavano così. Don Nicola era un omone grande e grosso, dall'aspetto gradevole, sano ed energico; aveva costruito da solo la sua fortuna con il negozio delle carni.

 Era arrivato da una città vicina, ma gli erano bastati pochi anni di attività per fargli raggiungere un'invidiabile posizione non solo dal punto di vista economico. Era in breve divenuto uno degli uomini più ricchi ed importanti del paese, poi ne era divenuto anche il sindaco, ed anche questo compito, bisogna riconoscere, lo svolgeva con impegno e capacità.

Il suo negozio si affacciava sulla piazza principale con due splendide e ampie vetrine ed anche il viandante più frettoloso non poteva non notare la sapiente mostra delle sue più belle ed elaborate leccornie, un vero piacere per gli occhi che faceva pienamente pregustare un altrettanto impareggiabile piacere per il palato.

 Le sue specialità erano ormai talmente apprezzate e rinomate che venivano ad approvvigionarsene i buongustai di tutta la provincia.

 

- Ci vuole poco a vendere la carne - usava dire - sarebbero capaci tutti, ma preparare, elaborare e vendere questa carne non è da tutti, è un lavoro da esperti, da intenditori appassionati. Le fiere mangiano le loro prede ancora calde, gli uomini primitivi tagliavano in grossi pezzi gli animali e li cuocevano, gli uomini civili selezionano, preparano, elaborano con cura il cibo.

Questa è la civiltà, la manipolazione, l'elaborazione del cibo, affinché esso soddisfi perfettamente il gusto, l'olfatto, il tatto e la vista. Qui, signori, non trovate i 'pezzi di carne', qui trovate l'essenza della carne affrancata dalle sue origini cruente. La carne si ottiene da un atto crudele, io, con la mia opera, la redimo dal suo peccato originale, dal crimine della sua genesi. Qui non c'è più l'animale, qualunque esso sia, qui c'è solo il prodotto nobilitato, il nettare per i nostri palati. -

 

Si diceva che il segreto della bontà dei suoi prodotti fosse da ricercare nell’uso sapiente delle spezie e degli aromi, altri dicevano che era nel grado di macinazione, così fine che la carne semplicemente si scioglieva sotto il palato, altri ancora affermavano che il segreto era da ricercarsi nella studiata miscelazione dei vari tipi di carne nelle proporzioni giuste. Queste proporzioni erano naturalmente mantenute accuratamente segrete, e, infatti, nel laboratorio di lavorazione entrava ogni tipo di carne di svariati animali, vitelli, maiali, conigli, anatre, volatili, cacciagione e altri ancora più rari e segreti. Tutti i materiali venivano dosati, miscelati con sapienza ed accuratamente macinati nell'enorme trituratore.

Anche i fornitori erano naturalmente segreti, venivano solo di notte a scaricare, ed era don Nicola stesso che seguiva le operazioni controllando con cura ogni pezzo. Nel laboratorio lavoravano in continuazione un paio di operai, ma spesso anche di notte, quando gli operai avevano finito il loro turno, si sentiva il rumore dell'imponente trituratore, un grande lavoratore quel 'don Nicola'.

 

Il fatto

 

Il fatto accadde il giorno che la signora Giulia, moglie del notaio Bazzi, trovò il dente in una delle polpette che aveva cucinato lei stessa con tanta cura.

 A tavola, con grande stupore, notò quel piccolo punto rilucente proprio nella polpetta che aveva nel piatto. Stette un attimo immobile credendo dapprima si trattasse soltanto di un’impressione, poi, lentamente, delicatamente, esplorò la carne con le punte della forchetta d'argento e per poco non sobbalzò sulla sedia, tutto ciò mentre il marito la scrutava con aria perplessa. Era proprio un dente, un dente d'oro incastonato come una perla nella sua peraltro delicatissima polpetta.

 Successe il finimondo, il notaio, che tra l'altro era un esponente del partito politico avverso a quello di don Nicola, non si fece sfuggire quell’occasione per avere un motivo per attaccare il suo avversario.

Corse difilato dal commissario Calò seguito a ruota dalla moglie, dalla governante e da alcuni curiosi che si erano accodati per comprendere la ragione di tale repentina spedizione. Non tralasciò naturalmente di fornire delle accurate descrizioni dell'accaduto a tutti quelli che incontrò lungo il percorso. Cosicché, quando giunse dal commissario, dietro di lui si era formato un gruppo abbastanza consistente di persone.

 

Il commissario che nel primo pomeriggio, come era sua consuetudine, si era appena appisolato, fu svegliato di soprassalto, temette, ancora mezzo addormentato, che si trattasse di una sommossa, poi, si stropicciò gli occhi, si affacciò alla finestra e riconobbe il volto paonazzo del notaio Bazzi e dietro di lui quelli più divertiti che irati di molti suoi concittadini.

 Il commissario Calò era un brav'uomo, una persona intelligente, perspicace e pratica, ma, vivendo in un paesino dove solitamente non succedeva mai niente di importante, non aveva mai avuto modo di dimostrare le sue qualità, per cui i concittadini tutto sommato non ne avevano una grande considerazione, lo reputavano più che altro solo un banale funzionario che compilava carte.

 Il basso livello di stima di cui lo onoravano i paesani, aveva col tempo contribuito a renderlo alquanto pigro e poco entusiasta del suo lavoro.

 Fece entrare il notaio che gli espose quanto accaduto con ricchezza di particolari e senza tralasciare alcuni apprezzamenti poco lusinghieri sul conto di don Nicola.

Il commissario, non ancora completamente sveglio, stette a sentire tutto con un’attenzione che pareva estrema, anche se in realtà avrebbe voluto volentieri mandare al diavolo tutti quei perturbatori del suo sonnellino, ivi compreso quel dente che il notaio gli agitava sotto il naso. Tuttavia si trattenne e quando quest'ultimo ebbe finito di esprimere tutte le sue rimostranze, con molta calma, affermò che a suo parere non era il caso di piantare una simile grana per un avvenimento talmente insignificante, di cui in fin dei conti non si conoscevano né la causa né il responsabile.

 Il notaio, intanto che gli era sbollita l'agitazione, finì stranamente per concordare con il pensiero del commissario, che gli fece preparare un ottimo caffè dalla sua governante, e la cosa, con grande delusione dei curiosi, sembrò finire lì.

 

Ma ormai il sasso nello stagno era stato lanciato, e nei giorni seguenti nei bar e nelle piazze del paese non si parlò d'altro, del dente d'oro nelle polpette di don Nicola e, come succede spesso nei piccoli paesi, le voci si andarono ampliando, diventando man a mano sempre più fantasiose ed arricchite di sempre nuovi particolari.

Qualcuno diceva che il dente era stato messo lì a bella posta da qualche nemico di don Nicola che voleva screditarlo, qualcun altro sosteneva che il dente poteva essere stato mangiato da un animale prima della macellazione, un altro ancora sosteneva che poteva essere stato il notaio ad architettare tutto. Altri espressero il dubbio che nel trituratore don Nicola usasse buttare di tutto, senza stare a guardare tanto per il sottile. Per non parlare poi di quelli che sostennero di aver appreso da fonti certe che era stata trovata un’intera dentiera nella carne di don Nicola, o di altri che affermarono addirittura che si trattava del dente di un animale misterioso, o anche di un oggetto magico lasciato da uno spirito.

Per farla breve le voci, le chiacchiere, le maldicenze, i sospetti, non servirono certo a fare luce sull’accaduto, ma finirono soltanto per produrre delle assai sgradevoli conseguenze sull’attività di don Nicola. I clienti del suo negozio iniziarono a diminuire giorno per giorno a vista d'occhio, ed anche i forestieri, avendo avuto sentore di quello che si diceva in paese, cominciarono a farsi vedere sempre di meno.

A don Nicola non restava che una sola cosa da fare, per salvare il suo prestigio e la sua attività. Dopo aver meditato lungamente, decise di fare anch'egli una visita al commissario. Il colloquio non fu molto lungo, e cosa si dissero non ci è dato di sapere, ma a quanto poi rivelarono le solite voci ben informate, aveva deciso di sporgere denuncia contro ignoti per quel gesto che sicuramente era stato fatto col proposito di screditarlo. Gli stessi ben informati giurarono anche che, in qualità di sindaco, aveva intimato al commissario di trovargli velocemente il colpevole, o almeno uno che avrebbe potuto esserlo.

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