l'incredibile avventura del consigliere G

 

G. giunse in ritardo, come al solito, al Palazzo del Consiglio, salì di corsa

l’ampio scalone urtando più volte i commessi che salivano e scendevano

freneticamente, e percorse in un attimo il solenne e larghissimo corridoio

del primo piano. Raggiunse alquanto trafelato la porta sulla quale faceva

bella mostra di sé un vecchio e ingiallito cartello con la scritta ‘Terza

Commissione Permanente Plenaria’.

 

Si frugò ansiosamente nelle tasche, aveva di nuovo dimenticato la tessera magnetica che doveva consentirgli l’accesso in sala.

Tirò fuori una banconota, la piegò in quattro e l’introdusse a viva forza nella feritoia del lettore magnetico, che naturalmente cominciò a sobbalzare e a stridere rumorosamente.

Accorse velocemente un grosso usciere in livrea elegante, lo scrutò con aria severa, poi si impadronì lesto della banconota e aprì con la sua tessera la pesante porta d’accesso.

 

Un’ondata di rumori e clamori compositi venne fuori immediatamente mescolata a un forte odore di fumo di sigarette e invase la quiete del

corridoio. G. tirò un grosso respiro e si immerse nell’aula ad anfiteatro

richiudendo la porta alle sue spalle.

La riunione era naturalmente già in corso, per cui nessuno notò il suo

ingresso.

 

Mentre le voci si alzavano confusamente da ogni angolo dell’aula

sovraffollata, raggiunse un posto libero in uno dei semicerchi più alti e si

sedette, cercando di assuefarsi al fumo e alla forte illuminazione che

proveniva da un enorme lampadario sospeso al soffitto.

All’estremità opposta dell’aula, in basso, sedeva il Presidente della Commissione attorniato dai commissari, dietro un lungo tavolo ingombro fino all’inverosimile di fasci di cartelle, di registri e altri volumi disposti in pile talmente alte da far a malapena scorgere le loro teste. Anche davanti e sotto il tavolo si ergevano grosse cataste di incartamenti, su alcune di esse avevano trovato posto i segretari che redigevano incessantemente i loro verbali su grossi volumi scuri.

 

Commessi in divisa si affaccendavano intorno ad altri lunghi e massicci

tavoli, ai quali si addossavano a ondate compatte i consiglieri, chiedendo a

gran voce di consultare atti e verbali, o di far registrare le loro osservazioni.

 

I commessi correvano avanti e indietro spesso urtandosi e travolgendo le

cataste di incartamenti. Scompigliando frequentemente le pile di cartelle

estraevano con gran frastuono, sollevando nuvole di polvere, i registri

richiesti e li scaricavano alla rinfusa sui tavoli. I consiglieri si accalcavano

sudando e imprecando, rovistavano con foga nella massa di carte alla ricerca dei documenti che avevano richiesto.

 

Due intere pareti della vasta aula erano occupate da enormi scaffali

polverosi, anch’essi pieni fino all’inverosimile di incartamenti e volumi

spaginati, accatastati disordinatamente gli uni sugli altri.

Di tanto in tanto i commessi cercavano qualche volume sui ripiani più alti

utilizzando lunghe scale di legno. La ricerca era spesso sottolineata dallo

spaventoso rovinare al suolo di cataste di volumi.

 

Il Presidente si alzò e il suo volto apparve per intero dietro le cataste degli incartamenti.

Prese visibilmente fiato:

- Cittadini consiglieri! - gridò con una voce poderosa, necessaria a

sovrastare la confusione che regnava nell’aula. - Siete pregati di esprimervi

sulla ratifica del decreto 152 di cui all’allegato 4 del regolamento 271 quater.

I consiglieri interruppero per un attimo le loro occupazioni e le loro  discussioni, ma una volta che ebbero udito le parole del Presidente

ricominciarono a gran voce a consultarsi, nell’evidente tentativo di

comprendere di quale argomento si andasse discutendo. La confusione

raggiunse di nuovo un livello spaventoso.

 

G. guardò ansiosamente tra le carte che aveva con sé nella speranza di

trovare qualche cosa, anche se non sapeva che genere di cosa. Riuscì a tirar fuori solo la colazione, l’orario ferroviario, le petizioni più svariate che gli erano state affidate dai suoi concittadini e una serie di incartamenti che,

naturalmente, non riguardavano affatto i lavori della Terza Commissione.

Alle sue spalle, sovrastando la confusione, si levò tonante la voce del

consigliere Bolban:

- Signor Presidente, signori consiglieri, non si può sottoporre alla ratifica

un decreto che è già stato rigettato da questa Commissione quattro mesi or

sono !!

A questo punto si scatenò un ancora più terribile e indescrivibile caos. I

consiglieri si guardavano attorno sbalorditi e si apostrofavano a gran voce,

altri frugavano furiosamente tra le carte gettando fogli per aria, altri

schiamazzavano rumorosamente battendo i piedi per terra e le mani sui

banchi di legno, altri proclamavano a gran voce di essere presi in giro.

 

Il Presidente ebbe un attimo di smarrimento, frugò tra le sue carte, chiamò a sé e consultò febbrilmente i segretari, poi cercò di alzarsi quanto più possibile sulla punta dei piedi:

- Consigliere Bolban! La richiamo all’ordine! Cittadini consiglieri, vi

richiamo all’ordine!!

Prese dal tavolo un grosso martello e picchiò più volte vigorosamente:

- Consigliere Bolban, è vero che il decreto è stato rigettato da questa

Commissione, ma tuttavia trattavasi del cosiddetto ‘rigetto tecnico’, per cui

è stato rinviato alla Decima Commissione per apportarvi le modifiche ai

sensi del regolamento 2721 articoli 20 e 21. La Decima Commissione ha

espletato quanto di sua competenza e ci ha rimandato il provvedimento.

 

Un nuovo clamore sottolineò le affermazioni del Presidente e di nuovo si

riaccesero le consultazioni a gran voce. Inaspettatamente si udì la voce

sottile del lungo e allampanato consigliere Parker:

- Cittadino Presidente, colleghi, se il decreto è stato modificato dalla

Decima Commissione non deve essere sottoposto a noi per la ratifica ma, ai

sensi del regolamento 1350 art 1230, deve ritenersi provvedimento ex-novo

e pertanto deve essere inviato alla Commissione Centrale Procedurale!

 

Di nuovo clamori in aula e qualche applauso sottolinearono l’intervento. Si

udì allora come un tuono la voce del grosso e paonazzo consigliere Pauloz:

- Ma niente affatto, il decreto è da ritenersi decaduto per decorrenza dei termini previsti dalla legge 125 articolo 301, per cui va archiviato o tutt’al più rinviato alla Decima Commissione perché lo reiteri!

- Collega Pauloz, come facciamo a rinviare alla Decima Commissione il

decreto senza esprimere un parere di merito? Non è nelle nostre  competenze agire in questo modo.

- Illustri colleghi, il decreto è stato ormai superato perché in materia è

operante da due mesi il nuovo regolamento 325 bis.

- Non è affatto vero, collega, tu ti riferisci forse al decreto 325 ter, che è stato approvato, ma regola tutt’altra materia. Il 325 bis è ancora fermo in

Quindicesima Commissione e probabilmente non sarà mai approvato!

 

Ormai la confusione era apocalittica, nessuno riusciva più a capire chi

stesse parlando e a chi si stesse rivolgendo, l’aria della sala era ormai

completamente satura del fumo delle sigarette e addirittura spesso si

faceva fatica a scorgere i consiglieri più lontani.

Di nuovo il Presidente, dopo essersi asciugato il sudore dalla fronte, colpì

vigorosamente il tavolo col pesante martello per sedare il clamore:

- Signori, vi richiamo formalmente all’ordine!! Delibero una pausa di dieci

minuti per l’espletamento di consultazioni, dopodiché si procederà alle

dichiarazioni di voto e alla votazione.

 

Il Presidente riprese subito a consultarsi con i segretari e con i

commissari che ormai si erano ammucchiati tutti al centro del tavolo e

sfogliavano furiosamente carte e fascicoli sollevando le consuete nuvole di

polvere.

Nell’aula piena di fumo ripresero impetuose le grida, gli schiamazzi, le

febbrili consultazioni di crocchi di consiglieri agitati e nervosi.

G. stava da qualche minuto lambiccandosi il cervello per ritrovare tra i

suoi ricordi un pur minimo indizio dell’argomento di cui si stava trattando,

maledicendo dentro di sé la sua evidentemente labile memoria e il suo

perenne arrivare in ritardo alle riunioni.

Visto che i suoi tentativi non gli davano l’impressione di poter approdare a

nulla di sensato, si alzò decidendo di andare ad aggregarsi a un gruppo di

colleghi che discuteva animatamente.

- Ti dico che il decreto va inviato alla Commissione Consultiva Centrale

perché esprima un parere, anche se non vincolante!

- Scusa collega Azimov, ma non riesco a ricordare la materia del decreto.

- Neanche io collega G., dovrebbe trattarsi probabilmente del decreto

sulla ripartizione dei fondi a sostegno della lotta contro il randagismo

canino...

- Ma no collega Azimov, quello di cui parli dovrebbe essere il 452 che è

stato discusso due mesi fa, il 152 dovrebbe riguardare l’aumento dello 0,05

% degli stipendi dei guardiacaccia a cavallo.

- Ma questo non l’avevamo rinviato alla Decima Commissione due anni fa?

Possibile che sia tornato solo adesso?

- Ma non vuol dire, la Decima Commissione prima di rimandarcelo

potrebbe averlo inviato ad altre commissioni per i controlli, il fatto è che

non si riescono a seguire mai tutti i passaggi, per cui spesso perdiamo

addirittura memoria dei provvedimenti.

- Comunque il problema è di principio, se la Decima Commissione modifica

un provvedimento da noi rigettato, deve sottoporlo prima alla Commissione

Consultiva Centrale e poi se il parere è favorevole deve rinviarlo a noi, non

sei d’accordo?

- Ma... certamente collega Azimov!

Si allontanò alquanto perplesso. D’altra parte era stato nominato solo da

un mese, probabilmente era questo il motivo che gli impediva di

comprendere appieno il complesso meccanismo delle commissioni.

Intanto, fuori, doveva essersi fatto cattivo tempo. Le grosse finestre

collocate alla sommità delle pareti laterali lasciavano intravedere soltanto

una luce cupa provenire dall’esterno, si incominciava a udire il sordo

brontolio di qualche tuono in lontananza. Di tanto in tanto un poderoso colpo

di vento scuoteva i vetri facendo scricchiolare sinistramente i serramenti.

G. si rammaricò vivamente di non aver portato con sé l’ombrello, visto che

si preannunciava un temporale.

Intanto le discussioni non accennavano a placarsi, anzi salivano sempre più

di tono e ormai tutti i consiglieri non reprimevano più in alcun modo il loro

impellente desiderio di manifestare a gran voce il proprio parere sulla

questione.

A un tratto il Presidente percosse con foga più volte il tavolo col pesante

martello e sollevandosi in piedi in tutta la sua altezza, invitò

perentoriamente i presenti alle dichiarazioni di voto .

Già il grasso e sanguigno consigliere Bertoffi si era alzato dal suo seggio

brandendo in pugno come una spada un fascicolo unto e lacero per

intervenire, quando accadde un fatto talmente inusitato da lasciare tutti

completamente di stucco.

Uscendo da una delle cataste di volumi che circondavano il tavolo del

Presidente, due enormi topi, dopo essersi guardati intorno un momento, si

diressero al piccolo trotto verso il centro della sala.

Erano di colore scuro, grassocci e di dimensioni veramente fuori dal

comune, quasi come due grossi gatti. Si portarono nel bel mezzo dell’aula e

poi rimasero li guardandosi intorno, come riflettendo sul da farsi.

I consiglieri, dopo un comprensibile attimo di sgomento, ricominciarono a

rumoreggiare spaventosamente, evidentemente assai contrariati

dall’accaduto.

Accorsero prontamente i commessi che, brandendo scope e bastoni,

incominciarono a rincorrere le due bestie, che immediatamente, senza

scomporsi più di tanto, si andarono a infilare sotto uno scaffale. Ma allo

stesso istante, con enorme sorpresa dei presenti, un’altra decina di topi

dello stesso aspetto dei precedenti si riversarono nell’aula uscendo da

chissà dove.

I commessi decisero quindi di dare la caccia a questi ultimi, i quali si

mostrarono per la verità, a dispetto della loro mole, molto agili e scaltri

nell’evitare i colpi loro indirizzati. A questo punto nell’aula era esploso un

vero e proprio tumulto.

- Cittadino Presidente, è inaudito! Esigo una spiegazione! Non è stato

provveduto in base al regolamento 658 alla derattizzazione del palazzo?

- È un’indecenza, è un’indecenza, chi è il responsabile?

- Perché non si è provveduto, signori commissari?

- Qui non si rispettano le leggi!

- Vergogna, vergogna!

Ormai la baraonda era completa, i topi comparivano e scomparivano come

folletti dappertutto, i commessi e i consiglieri rovesciavano sedie e banchi

correndo anche loro di qua e di là, un polverone aveva preso a levarsi dal

pavimento come una cortina fumogena.

- Cittadini consiglieri - tuonò il Presidente cercando di sovrastare il

clamore - quello che affermate è privo di fondamento. Il regolamento 658 è

stato pienamente applicato!

Uno scoppio di risate, di imprecazioni e di applausi ironici sottolineò

queste parole.

- Cittadini consiglieri, non è colpa nostra se la Tredicesima Commissione

non ha ancora nominato gli incaricati alla disinfestazione, c’erano dei difetti

di forma nel decreto imputabili alla Quinta Sottocommissione Igienica!!

Intanto infuriava un terribile temporale e i tuoni si succedevano

fragorosamente scuotendo paurosamente le grosse e alte finestre.

All’esplodere di un fulmine più poderoso dei precedenti il lampadario

centrale si spense, e la sala precipitò in una penosissima e cupa penombra,

tanto era debole il chiarore che proveniva dalle finestre.

I commessi riuscirono comunque ad accendere le lampade di emergenza a

petrolio, mentre i topi, per nulla a disagio, incominciarono ad assalire gli

incartamenti e i grossi volumi con evidenti intenti non propriamente

culturali.

Ormai erano divenuti una schiera innumerevole, e nessuno sapeva più

come fermarli, anzi, qualche commesso particolarmente zelante veniva

adesso aggredito dalle bestie che divenivano sempre più audaci.

Il consigliere Bolban dal suo scanno in alto fece rimbombare la sua voce:

- Colleghi consiglieri, è un’indecenza! È una vera indecenza!! Propongo ai

sensi del regolamento 760 articolo 30 di riunire d’urgenza la Commissione di

Controllo per valutare la situazione e prendere le decisioni del caso!

- Collega Bolban stai creando solo confusione, questa faccenda deve

essere risolta dalla Commissione Disciplinare!

Il Presidente, con una agilità insospettata, balzò sul tavolo, forse anche

per sfuggire all’assalto dei topi, e urlando come un ossesso per farsi udire,

espose la sua opinione:

- Onorevoli colleghi, non è così semplice, riflettiamo! Credo non esistano

precedenti per un fatto del genere, restiamo calmi, dobbiamo consultare la

legislazione vigente... signori segretari!!

Si volse verso i segretari, ma da quella parte adesso c’era solo un

groviglio di carte, sedie, corpi e topi inestricabilmente confusi.

I topi continuavano a rosicchiare avidamente i grossi volumi rilegati e i

più audaci erano balzati addosso ai commessi cercando di azzannarli. I

consiglieri correvano su e giù agitando le braccia, imprecando, urtandosi,

urlando a gran voce le proprie opinioni, gettando per aria fascicoli, sedie,

cartelle e quant’altro andasse capitando loro davanti.

- Signori consiglieri ! Un attimo di attenzione, un attimo di attenzione,

cerchiamo di comunicare telefonicamente con la Commissione Affari

Generali per avere un parere di merito... Signori consiglieri!

Ma ormai non lo ascoltava più nessuno. Nella incredibile calca che si era

prodotta nell’aula una lampada a petrolio si capovolse e rotolando verso il

centro della sala urtò contro una catasta di volumi esplodendo in una

istantanea fiammata. Il cumulo di carte prese fuoco in un attimo tra lo

sconcerto di tutti i presenti.

I commessi si precipitarono cercando di soffocare le fiamme, ma nello

stesso istante una folata di vento particolarmente impetuosa spalancò di

colpo una delle grosse finestre mandandola in frantumi e nella sala si riversò

un vento vorticoso. Le pagine e i fascicoli sparsi in giro disordinatamente

furono risucchiati di colpo verso l’alto dal vortice in una sarabanda

inimmaginabile, le fiamme presero vigore e il fuoco si propagò in un baleno

ad altre cataste di volumi e ai fogli che volavano per aria impazziti.

I consiglieri cercavano ormai solo di mettersi in salvo correndo

disordinatamente verso le porte che però resistevano perfidamente a ogni

tentativo di aprirle.

Il Presidente cercò ancora di urlare qualcosa ma fu sopraffatto dai topi,

che lo avevano adesso assalito a centinaia, e cadde rovinosamente dal tavolo.

Intanto altre lampade a petrolio esplodevano l’una dopo l’altra, lunghe

lingue di fuoco si alzavano fin quasi al soffitto, accompagnate da un fumo

greve, nero, irrespirabile. Grida di terrore si levavano spaventevoli, topi e

fascicoli in fiamme saltavano diabolicamente da un punto all’altro in maniera

imprevedibile, liberando a ogni movimento sprazzi di faville luminose e

crepitanti. Le fiamme si impadronirono ben presto degli scaffali laterali, dai

quali poco dopo volumi in fiamme cominciarono a precipitare al suolo e sui

banchi di legno.

Intanto al centro della sala, nel pavimento, si andavano aprendo grosse e

profonde fenditure, che divennero in breve sempre più ampie, confluendo

infine in quella che divenne una sorta di voragine, nella quale iniziarono a

precipitare come risucchiati le cataste di volumi semidistrutti, tavoli, sedie,

topi, corpi di consiglieri in fiamme e quanto altro si trovava negli immediati

dintorni.

Urla, lingue di fuoco, colonne di fumo maleodorante si levavano sempre più

alte; i banchi dei consiglieri prendevano fuoco l’uno dietro l’altro come

fuscelli e rotolavano verso il basso rovinando nella voragine fiammeggiante.

Gli scaffali, divenuti ormai pareti di fuoco, si abbattevano al suolo con

scoppi e tonfi sinistri.

Il grosso lampadario, scosso sempre di più dal turbinare del vento,

cominciò a oscillare scricchiolando e gemendo paurosamente, si avvolse poi

sulla catena che lo sosteneva e alla fine si abbatté al suolo con un boato

pauroso, travolgendo tutto al di sotto e esplodendo in migliaia di schegge di

vetro che rimbalzarono impazzite per ogni angolo della sala.

Il consigliere G. si trovò senza nemmeno sapere come accanto alla porta

da cui era entrato e vi si appoggiò disperato come attendendo la fine.

Cedendo alla pressione la porta si aprì improvvisamente e G. si ritrovò

lungo disteso sul corridoio esterno.

Rimase per qualche momento privo di sensi, poi riprese coscienza, si

rialzò e si guardò intorno.

La porta era di nuovo chiusa, il corridoio completamente deserto e

silenzioso, tutto era in perfetto ordine.

I lampadari erano regolarmente accesi ed emanavano una morbida luce

soffusa, dietro le finestre si scorgeva il buio di una notte tranquilla.

Rimase per un attimo inebetito, si avvicinò timoroso alla porta, ma non

riuscì, per quanto si sforzasse, a percepire dietro di essa il benché minimo

rumore; vi appoggiò anche l’orecchio, ma tutto appariva assolutamente

tranquillo.

Paura, incredulità, sconcerto, lottarono febbrilmente nel suo animo, poi si

fece coraggio e lentamente, prudentemente, spinse la porta soltanto di quel

tanto che potesse permettergli di guardare nella sala.

Rimase sconcertato. Non c’era più niente.

In basso c’era solo il vuoto, una profondità di cui non si scorgeva né si

riusciva a immaginare la fine, delle pareti nessuna traccia, in alto niente, o

meglio, soltanto un cielo incredibilmente scuro e incredibilmente

punteggiato da una miriade di stelle riunite in grappoli eterei, fitti,

tranquilli.